IL GIUDICE DI PACE Letto il ricorso ex art. 633 c.p.c. depositato l'8 giugno 1995 dall'Autostrade concessioni e costruzioni autostrade S.p.a. (avv. Carlo Schiavone) c/Di Nardo Giovanni, r.g. n. 1055/1995 avendo terminato la fase istruttoria ex art. 640 c.p.c. ed ottenuti i chiarimenti e le integrazioni necessarie, ritiene di poter emettere il richiesto decreto di ingiunzione. A tal punto il giudice di pace si pone il problema di dover concedere all'intimato il termine di legge previsto per il pagamento dell'ingiunzione ovvero per proporre opposizione al decreto medesimo e al riguardo osserva in DIRITTO Detto termine e' di giorni venti ex art. 641 c.p.c. secondo la legge del tempo in cui e' stato proposto il ricorso, ma in virtu' del principio tempus regit actum dovrebbe essere esteso a giorni quaranta ex art. 8 n. 1 del d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, e tanto e' sufficiente a questo giudice per porsi il problema della costituzionalita' della nuova norma da applicare. Problema che ritiene possa legittimamente porsi anche in fase di procedimento monitorio ove il ricorso e' sin dalla data del deposito ritenuto far parte delle fase introduttiva del giudizio di primo grado. Ed invero appare con immediatezza il trattamento differenziato da applicare al caso rispetto a quello usato per i decreti emanati anteriormente alla data del 22 giugno 1995 ove si tenga anche conto che il decreto-legge, avendo soltanto efficacia di legge, e' notoriamente precario attendendosi la sua conversione perche' acquisti valore di legge, e che nulla toglie che il trattamento differenziato possa ripetersi dopo la conversione in legge, ma soprattutto e certamente, per di piu' con effetto retroattivo, se tale conversione non dovesse essere approvata dal Parlamento, con evidente violazione dell'art. 3 della Costituzione e dell'art. 11 c.c. delle disposizioni sulla legge in generale, e tanto per gli effetti dell'art. 77, comma 3, della Costituzione. Ma ancora piu' fondata e' la questione sulla validita' costituzionale di un atto avente soltanto forza di legge tale da modificare un procedimento civile in violazione degli artt. 77, 97, 101, 102 e 108 della Costituzione. La questione di incostituzionalita' del d.-l. n. 238/1995 appare manifestamente fondata anche per altri motivi e, quindi, la sua applicazione desta dubbi e perplessita' in questo giudice che dovrebbe applicare, ragione per cui appare giusto sollevare la questione per il supremo giudizio della Corte costituzionale. Tra i motivi di tale deferimento alla Corte costituzionale vi e' la questione fondamentale se un decreto-legge possa realmente modificare norme organizzative della giustizia e norme procedurali complesse per definizione costituzionale riservati alla legge in senso proprio, approvata dai due rami del Parlamento sovrano, la quale dispone stabilmente e per l'avvenire, almeno fino ad altra legge di pari valore e forza di legge ordinaria che ne dovesse disporre l'abrogazione. Va di pari passo con tale valutazione l'altra, anch'essa di rilievo costituzionale e fondamentale, che riguarda il caso straordinario di necessita' ed urgenza che, ex art. 77, comma 2, della Costituzione, abbia consentito al Governo di emanare il d.-l. n. 238/1995 in deroga al disposto non soltanto dei gia' citati artt. 77, 97, 101, 102 e 108 della Costituzione, ma anche degli artt. 70, 72 e 76 della Costituzione. Ed invero il motivo, e non il solo, che colpisce questo giudice di pace nel procedimento a lui affidato, e' proprio la fondatezza dell'urgenza e necessita' della disposizione dell'art. 8 n. 1 del d.-l. n. 238/1995 oltre che la precarieta' della norma soggetta a conversione, pena la caducita' della stessa e, quindi, con il rischio, peraltro del tutto ingiustificato, di una disparita' notevole di trattamento (del 100%) fra i cittadini sottoposti a procedimento di ingiunzione a seconda se ingiunti prima, dopo o durante la validita' del decreto-legge impugnato. Vi e' naturalmente di piu'. La disposizione in decreto, che si somma a tutta una serie di norme modificative della competenza dei giudici (tribunale, pretore e giudice di pace) imporrebbe in ogni caso, alla conversione in legge da parte del Parlamento, una serie di norme transitorie omesse in decreto e che dovrebbero trovare dimora nella legge di conversione, con evidente ingiustificata forzatura del potere esecutivo sul potere legislativo non conforme ai citati prescritti costituzionali (v. art. 77, comma 3, della Costituzione). Quale potrebbe essere la caotica situazione della giustizia se il d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, non venisse convertito in legge lo si lascia alla valutazione giuridica della Corte. A questo giudice tali questioni sono sottratte, e, pur ritenendo che il d.-l. n. 238/1995 per l'interesse di un normale svolgimento della giustizia non vada applicato, ha il solo preciso dovere di rilevarle perche' l'organo competente e cioe' la Corte costituzionale, si pronunci su di esse. Queste motivazioni partono da una premessa che puo' sembrare politica, ma tale non e', essendo squisitamente giuridica, e costituisce uno dei principali dubbi di questo giudice di pace: e cioe' che una delle ragioni focali del dissesto della giustizia civile in Italia e' l'esistenza di una serie di leggi continuamente modificative dell'organizzazione giudiziaria (la cui motivazione politica e parlamentare non puo' non essere condivisa stante la sovranita' parlamentare) le quali tuttavia rendono il cittadino perplesso di fronte alla certezza del diritto. Il caso del d.-l. n. 238/1995 si ritiene essere invece gravissimo perche' sconvolge perfino l'orientamento parlamentare gia' iniziato con le leggi 26 novembre 1990 n. 353, 21 novembre 1991 n. 374 e 4 dicembre 1992 n. 477 (vedasi anche il piu' reiterato d.-l. 16 dicembre 1993 n. 521 nonche' il d.-l. 7 ottobre 1994 n. 571), sulle modificazioni del precesso civile e sulla istituzione del giudice di pace, ci siano o non ci siano in Parlamento proposte o disegni di legge che intendano nuovamente riformare il predetto sistema. Il che appare a questo giudice un'altra ingiustificata prevaricazione dei principi costituzionali che devolvono al Parlamento e soltanto ad esso la regolamentazione stabile dell'organizzazione giudiziaria e dei processi. La valutazione della conformita' di tali comportamenti alla Costituzione non puo' che essere demandata alla Corte costituzionale che dovra' anche decidere se su tale materia, in relazioni alle singole norme contenute nel decreto-legge n. 238/1995 e riguardo all'intero decreto-legge, modificativo di altri decreti e modificazioni di norme procedurali, gia' modificate per tre volte nell'ultimo quinquiennio, vi siano stati quei motivi di necessita' ed urgenza di cui all'art. 77, comma 2, della Costituzione o piuttosto che esse siano state suggerite da altri motivi contingenti, non valutabili secondo la Costituzione, di interessi di categoria. L'insegnamento della Corte, infatti, e' fin troppo noto laddove e' stato riconosciuto alla normativa per decreto un carattere di assoluta eccezionalita', dovendosi far ricorso ad essa per fronteggiare situazioni appunto "fuori dall'ordinario" ovvero tali da poter produrre inspiegabili vuoti normativi o, quantomeno, pericolose insufficienze di disciplina qualora si dovessero osservare le cadenze temporali e procedimentali dell'iter formativo delle leggi ordinarie ad opera del Parlamento. Nulla di quanto contenuto nel d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, appare a questo giudice supportato o giustificato da necessita' e urgenze dovute a vuoti normativi od a pericolose insufficienze di disciplina ovvero a situazioni fuori dell'ordinario tali da non potere e dovere osservare l'iter formativo di una legge ordinaria. Anzi, e parrebbe superfluo l'aggiungerlo, risulta invece evidente quale potra' essere l'aggravio per la giustizia civile dell'impugnato decreto n. 238/1995 senza una contemporanea modifica dell'apparato giudiziario italiano, il che dovra' essere autorevolmente e competentemente valutato dalla ecc.ma Corte costituzionale.